giovedì 7 febbraio 2013

La terapia Morita

La terapia Morita



"L'azione realistica è lo sviluppo del sé"

La psicoterapia Morita è stata sviluppata dallo psichiatra giapponese Shoma Morita all'inizio del ventesimo secolo. Morita è stato presidente del Dipartimento di Psichiatria presso la Jikei University School of Medicine ed è stato influenzato dai principi psicologici del Buddismo Zen. Il suo metodo è stato inizialmente sviluppato come trattamento per un tipo di nevrosi d'ansia chiamato shinkeishitsu. Nella seconda parte di questo secolo le applicazioni della terapia Morita si sono diffuse sia in Giappone che in Nord America.

La naturalezza delle emozioni (Arugamama)

Se scopriamo che abbiamo appena vinto la lotteria, possiamo essere eccitati e felici. Ma se veniamo a conoscenza della morte di una persona cara, possiamo provare tristezza e dolore. Queste emozioni sono risposte naturali alle nostre condizioni di vita e non abbiamo bisogno di cercare di "ripararle" o di "cambiarle". Arugamama (l'accettazione della realtà così com'è) implica l'accettazione dei nostri sentimenti e pensieri, senza cercare di cambiarli o di "lavorare" su di essi.

Questo significa che se ci sentiamo depressi, accettiamo le nostre emozioni di depressione. Se ci sentiamo ansiosi, accettiamo le nostre emozioni di ansia. Invece di dirigere l'attenzione e l'energia al nostro stato emotivo, rivolgiamo i nostri sforzi verso il vivere bene la nostra vita. Fissiamo degli obiettivi e compiamo dei passi per realizzare ciò che è importante, pur convivendo di tanto in tanto con sentimenti spiacevoli.

Le emozioni sono incontrollabili

C'è un presupposto alla base di molti metodi terapeutici occidentali secondo il quale è necessario cambiare o modificare il proprio stato emotivo prima di poter agire. Si parte dal presupposto che dobbiamo "superare" la paura per poterci tuffare in una piscina o che dobbiamo sviluppare la fiducia in noi stessi prima di poter fare una presentazione in pubblico. Ma in realtà, non è necessario modificare le nostre emozioni per poter passare all'azione. Di fatto, sono i nostri sforzi per cambiare le nostre emozioni che spesso ci fanno sentire ancora peggio.

"Cercando di controllare il sé emotivo volontariamente con tentativi di manipolazione è come cercare di scegliere un numero su un dado lanciato o di spingere a monte l'acqua del fiume Kamo. Di certo si finisce con l'aggravare la propria agonia e con il provare un dolore insostenibile a causa del proprio fallimento nel manipolare le emozioni "-. Shoma Morita, MD

Una volta che impariamo ad accettare le nostre emozioni, ci accorgiamo che siamo in grado di intervenire senza cambiare il nostro stato emotivo. Spesso, l'intraprendere un'azione porta al cambiamento emotivo. Per esempio, è comune sviluppare la fiducia dopo che si è più volte fatto qualcosa con un certo successo.

L'egocentrismo e la sofferenza

Nella psicoterapia occidentale ci sono un gran numero di etichette con l'intento di diagnosticare e di descrivere il funzionamento psicologico di una persona: depresso, ossessivo, compulsivo, codipendente. Molti di noi cominciano ad etichettarsi in questo modo, piuttosto che indagare sulla loro esperienza. Se osserviamo la nostra esperienza, ci accorgiamo di avere un flusso di consapevolezza che cambia di momento in momento. Quando diventiamo eccessivamente preoccupati di noi stessi, la nostra attenzione non fluisce più liberamente, ma finisce intrappolata in una insana focalizzazione egocentrica. Più prestiamo attenzione ai nostri sintomi (la nostra ansia, per esempio) più cadiamo in questa trappola. Quando siamo assorbiti da quello che stiamo facendo, non siamo preoccupati perché la nostra attenzione è impegnata in un'attività. Mentre quando cerchiamo di "capire", di "aggiustare" o di "lavorare" sui sentimenti e sui problemi, accentuiamo ed esercitiamo la nostra focalizzazione sull'ego. Questo porta più spesso alla sofferenza che al sollievo. Come possiamo liberarci da questa attenzione incentrata sull'ego?

"La risposta sta nel praticare e nel padroneggiare l'attitudine al contatto con il mondo esterno. Questo si chiama atteggiamento orientato verso la realtà, che significa, in breve, la liberazione dall'egocentrismo "-. Takahisa Kora, MD

In ultima analisi, lo studente di successo della terapia Morita impara ad accettare le fluttuazioni interne di pensieri e sentimenti e a radicare il suo comportamento nella realtà e nello scopo del momento. La cura non è definita dalla riduzione del disagio o dal raggiungimento di un certo stato emotivo ideale (che è impossibile), ma dall'intraprendere nella propria vita un'azione costruttiva, che aiuta a vivere una vita piena e significativa, non guidata dal proprio stato emotivo.

I metodi utilizzati dai terapisti Morita variano. In Giappone, vi è spesso un periodo di riposo a letto, in isolamento, prima che il paziente venga esposto al counseling, alla formazione e alla terapia di lavoro. Negli Stati Uniti, la terapia ospedaliera Morita non è generalmente disponibile e la maggior parte dei praticanti sono orientati verso il counseling o verso un approccio educativo, che enfatizzano lo sviluppo di abilità per condurre una vita sana, l'imparare a lavorare con l'attenzione e i passi da seguire per portare a termine i vari compiti e obiettivi. Per questo motivo, la terapia Morita è talvolta chiamata la psicologia dell'azione.

"In generale, più desideriamo qualcosa, più vogliamo riuscire ad ottenerla e maggiore è la nostra ansia di fallimento. Le nostre preoccupazioni e le nostre paure ci ricordano la forza dei nostri desideri positivi... Le preoccupazioni sono indispensabili nonostante il disagio che le accompagna. Cercare di fare a meno di esse sarebbe sciocco. La terapia Morita non è in realtà un metodo psicoterapeutico per sbarazzarsi dei "sintomi". È più un metodo educativo per superare i nostri limiti autoimposti. Attraverso i metodi moritisti impariamo ad accettare la naturalezza di noi stessi. "- David Reynolds, Ph.D.

(fonte: articolo in inglese, Todo Institute)

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